Arte e artigianato d'uso quotidiano

lunedì 24 febbraio 2014

Made in Italy...”madamina il catalogo è questo”


Poltrona Frau alla Haworth (USA), un'azienda del Chianti (Cina), il 25% di Riso Scotti a Ebro Foods (Spagna), Pelati AR alla Princes, controllata da Mitsubishi (Giappone), il 75% della Star a Gallina Bianca (Spagna), Eskigel, produttore di gelati per la GDO in mani inglesi, Parmalat alla Lactalis (Francia), il 70% di Gancia a Rustam Tariko (Russia), Fiorucci salumi alla Campofrio Food Holding (Spagna), il 49% della Eridania a Cristalalco (Francia), il 95% della Boschetti alimentare alla Lubersac (Francia), il 29% di Giovanni Ferrari casearia alla Bongrain (Francia), Delverde alimentari alla Molinos Delplata (Spagna), Bertolli a Unilever e poi alla spagnola Sos, Salumificio Rigamonti divenuta di proprietà dei brasiliani attraverso la società olandese Hitaholb international, Orzo Bimbo, a Nutrition&Santè del gruppo Novartis, Italpizza all'inglese Bakkavor Acquisitions Limited, Galbani alla francese Lactalis, Carapelli al gruppo spagnolo Sos, Sasso al gruppo spagnolo Sos, Fattorie Scaldasole a Heinz, poi acquisita dalla francese Andros, Peroni all'azienda sudafricana Sabmiller, Invernizzi alla francese Lactalis, dopo che nel 1985 era passata alla Kraft, Locatelli a Nestlè, poi acquisita dalla francese Lactalis, San Pellegrino, alla svizzera Nestlè, Stock, alla tedesca Eckes a.G., poi acquisita dagli americani della Oaktree Capital Management, Antica gelateria del corso, Buitoni, Perugina alla svizzera Nestlè, Bulgari, Fendi, Loro Piana, Emilio Pucci alla Lvmh (Francia), Pomellato, Richard Ginori, Bottega Veneta, Sergio Rossi alla Kering, Valentino, Pal Zileri alla famiglia reale del Qatar e – notizia di oggi – Krizia a Shenzhen Marisfrolg Fashion (Cina)...e chi lo sa quante altre ce ne sono.

E' vero, negli ultimi anni anche buona parte degli italiani ha capito – e si è indignata – riguardo molti marchi del cosiddetto made in italy (volutamente tutto minuscolo) che in realtà non lo erano affatto... ma comunque, sia dovuto alla crisi, alle leggi di mercato o a chissà quale altra serie di cause, questa deriva di marchi acquistati/controllati in tutto o in parte da aziende e/o multinazionali estere somiglia ad un'ecatombe.

Meno male che ci sono ancora molti artigiani che, a dispetto di tutto e tutti, resistono e continuano a dare un significato reale al concetto di Made in Italy (stavolta tutto maiuscolo).

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