Arte e artigianato d'uso quotidiano

giovedì 13 settembre 2012

Assenze e Presenze

Ci sono dei giorni che decidono di essere diversi dagli altri. Oggi è uno di quei giorni.
Non che mi cambi la vita, dato che l'unica volta che l'ho visto avevo nove anni quindi non è stata un presenza determinante, anzi forse è stata più determinante la sua assenza, nel bene e nel male, ma oggi ho scoperto che a febbraio di questo anno è morto mio padre.

Ci sarebbero parecchie cose da dire al riguardo, ma non lo farò. Bene o male purché se ne parli? Ecco, non parliamone.

martedì 26 giugno 2012

Del Mantello e del Tabarro...


 Ci sono degli indumenti o degli accessori che sono passati di moda, relegati al ricordo di tempi passati o che, nelle giovani e meno giovani menti attuali, vengono definite “cose da vecchi”. Uno di questi indumenti è il mantello, comprendendo in tale accezione anche le sue differenti e splendide varianti, come il tabarro o la mantella soprabito. Questo mio scritto non vuole essere un elogio tout cour dell'indumento, quanto un tentativo di esprimere “ad alta voce” una serie di pensieri e considerazioni su un capo di abbigliamento così particolare che oggi sembra essere accettato sono in un contesto fumettistico e supereoistico; se Superman è normale considerarlo mantello-dotato, uno studente, in impiegato o una qualunque persona che decidesse di indossarlo nelle sue passeggiate cittadine, verrebbe additato come un “eccentrico”, nel migliore e più educato dei casi. A nulla vale far notare come molti degli indumenti oggi in voga siano oggettivamente meno di classe e/o ridicoli.
A ben pensarci il mantello ha subìto un destino paradossalmente più infausto di qualunque altro indumento; se ciclicamente a distanza di circa 20 anni, pantaloni a zampa di elefante, scarpe con la zeppa, giacche con spalline o pantaloni attillati sono sempre tornati in auge, lievemente modificati, interpretati o semplicemente svecchiati di una patina stantia del periodo in cui splendevano nelle vetrine e addosso ai modaioli dell'epoca, lo stesso non si può dire del mantello. Quali possano essere le motivazioni mi è difficile dirlo. Inizialmente ho pensato ad un concetto di “scomodità” e di “impegno” nel dover/poter indossare un indumento tanto “importante”, ma in un mondo, quello della moda, ove si vedono in continuazione oggetti e vestiti scomodi solo a guardarli figuriamoci ad indossarli, ho voluto accantonare l'ipotesi. Anche il considerare “importante” l'indumento in sé è stato abbandonato come idea, vista la brama delle persone al giorno d'oggi di sembrare importanti, che avrebbe dovuto portarli almeno a valutare, anche sommariamente, tale ipotesi. Allora ho rivolto la mia attenzione ai costi di produzione e alla grande quantità di impiego di materiale, soprattutto se parliamo di mantello a ruota intera (generalmente i mantelli si dividono in quarto di ruota, mezza ruota e ruota intera, ovvero un quarto di cerchio di stoffa, mezzo o cerchio intero), ma dopo aver considerato che molti sono disposti a spendere 3000 € o più per una borsa di plastica purché marchiata dallo stilista in voga al momento, ho desistito dall'approfondire, e poi esistono gli Outlet, paradisi per coloro che cercano marchi e modelli di lusso o meno che siano a prezzi stracciati. Sono cinicamente altresì convinto che basterebbe un semplice e piccolo incentivo da parte di un “vip” della moda e/o della spettacolo a poterlo portare nuovamente alla ribalta. Un calciatore, un cantante o un attore, specialmente se di “Hollywood”, potrebbe semplicemente cominciare ad indossare un mantello, tempo due settimane lo acquisterebbero se non tutti, in molti. Fino a che un giovane e famoso personaggio del jet set non si muoverà in tale direzione, ritengo che difficilmente ci potrà essere un interesse per un soprabito del genere. Fino ad allora verrà considerato un indumento d'altri tempi e per persone comunque di una certa età. Indossare mantello e passeggiare con un bastone da passeggio avendo meno di 60 anni viene considerato un atto se non oltraggioso, quantomeno singolare e degno di attenzione da parte di qualche esponente delle forze dell'ordine zelante che, personalmente successo, viene a chiedere lumi, nel timore che il bastone, non essendo necessario a coadiuvare la deambulazione, non potesse essere visto come accessorio di eleganza e di estetica, quanto come mezzo atto ad offendere, ovvero come arma. Adesso che, come descriveva Dante nella Divina Commedia, sono più o meno e relativamente alle aspettative di vita attuali, nel mezzo del cammin della mia vita, può darsi che la cosa verrebbe giustificata anche se, non agli occhi di tutti, temo. Io posso fare ipotesi più o meno valide, ma sicuramente totalmente soggettive e parziali; sarebbe interessante chiedere perché il mantello è stato così volutamente dimenticato ad esponenti considerati importanti nell'ambito della moda, a stilisti a giornalisti e appassionati di settore. Sicuramente c'è un mercato di nicchia se è vero che esitono aziende che continuano a produrli o se viene mantenuta una continuità nella realizzazione di mantelli in loden nella zona altoatesina italiana e tirolese austriaca, nelle sue varianti di stile, colore, forma. Una delle discriminanti che ci può comunque saltare all'occhio immediatamente è che proprio perché di nicchia, è un mercato rivolto sostanzialmente ad una categoria di persone che non solo devono essere abbastanza eccentriche da voler indossare un mantello od un tabarro ma anche abbastanza benestanti economicamente per potersi permettere certe spese. Si può quindi prevedere di tornare ad una neo epoca d'oro del mantello? E che incorpori tutte le fasce sociali, dal quelle meno abbienti a quelle ricche passando per il ceto medio basso, quello medio e quello medio alto e borghese? Sicuramente, ma la conditio sine qua non per la quale si possa intravedere una tale ipotesi è che il mantello torni in auge, non importa in che modo e per merito di chi. Qualcuno potrebbe obiettare che non torni in auge proprio perché sono poche le aziende che li producono e a prezzi troppo elevati per la cittadinanza comune. Io di ciò non ne sono affatto convinto, abbiamo sicuramente aziende che potrebbero mettere in produzione mantelli e tabarri anche a basso costo, con stile e materiali moderni, svecchiati dalla loro aura di “antico” o forse per meglio comprendere il concetto, dalla loro aura da “vecchio” o da “bisnonno”. Se non li producono evidentemente non hanno richiesta. Certo, la richiesta può essere forzata o comunque “indirizzata”, ma credo che per avere un impatto importante a livello di grande produzione debba, come accennato all'inizio, provenire da un “modello” da seguire, che sia una azienda, una casa di moda, da uno o più personaggi famosi.
Chi di noi comuni mortali deciderà o ha già deciso di indossare tale tipologia di abito, indifferentemente dalla foggia, dallo stile, dal colore o dall'occasione, sa di appartenere alla categoria delle persone sicure di sé o alla categoria degli eccentrici/egocentrici, di coloro che in un modo o nell'altro decidono di farsi notare e di porsi al centro dell'attenzione. Andare in giro per il centro con mantello, magari accompagnato da un bel cappello quando non anche da un raffinato bastone dal passeggio (mi raccomando senza “segreto” se non volete passare guai moto seri), significa sfidare le convenzioni comuni per cui l'originalità la si può dimostrare, paradossalmente, vestendosi alla moda, tutti uguali.


Devo dire che l'ìdea di un ritorno all'uso comune del mantello e del tabarro o della mantella soprabito non mi esalta, forse per una sorta di consapevolezza del far parte di una piccola e limitata categoria di persone, di un ristretto gruppo di
amanti del gusto retrò e dell'eleganza d'altri tempi. La curiosità di scoprire in quale modo si potrebbe evolvere sia nelle forme, che nei materiali che nel modo di indossarlo, ai tempi di oggi, coinvolgendo tutte le categorie di persone di tutte le estrazioni sociali ed economiche, però è tanta; forse però al momento, a causa della mia diversamente giovane età e di una piccola parte di egoismo nel voler proseguire nell'appartenere ad un piccolo gruppo di estimatori, mi piacerebbe che le cose rimanessero come sono: continuare ad essere considerato uno “strambo”.

Saluti

lunedì 25 giugno 2012

Dei regali sbagliati...

Forse sono strano, o forse sono insofferente. Magari sono vecchio e all'antica o troppo esigente. Il concetto di regalo è superato? E' cambiato?
Sono anni ormai che mi riesce difficile godere a pieno di un regalo ricevuto. Parlo di quei regali non richiesti, a sorpresa, senza essersi prima informati con coniuge/convivente/genitore/amico, (quelli ovviamente sono "azzeccati" ma qualcuno ha fatto la spia) totalmente fatto pensando alla persona a cui era indirizzato. Non faccio tanti regali, non ne faccio per obbligo o per convenzione, ma quando ne faccio penso sempre a chi è destinato; e mi sento un marziano.
Ho sempre ritenuto che, a prescindere dall'occasione e men che meno dal valore, un regalo dovesse essere fatto ad hoc. Evidentemente mi sbagliavo e negli ultimi anni addirittura sembra che questa opzione non sia nemmeno più prevista. Guardo e ascolto con tristezza infinita le pubblicità, recapitatami via mail, di ebay annunci che mi invita a mettere in vendita "i regali non graditi". Interviste e commenti in TV che incitano al riciclo del regalo sbagliato, al "dare agli altri quello che non volevi fosse dato a te", una sorta di undicesimo comandamento dettato dalla sociologia moderna.
Perché si sbaglia un regalo? Ammetto che possa esistere la possibilità; fraintendimenti, cattiva memoria e quant'altro possono portare a farci fare una scelta sbagliata, ma se esiste un florilegio di possibilità in cui librerie, negozi, siti che offrono "card regalo" da riempire del valore desiderato e, come esprime bene lo slogan dell'ikea, con "il nostro pacco più piatto", vuol dire che molto è cambiato. Alla radio la stessa azienda prima di natale pubblicizzava la cosa con uno slogan del tipo "non fare il regalo sbagliato, fallo scegliere a chi lo riceve".
Abbiamo ormai tutto che non sappiamo cosa regalare e farci regalare? Non conosciamo più i nostri cari ed i nostri amici al punto da non prenderci la responsabilità della scelta? Non so. Chi invece questa responsabilità la prende, sempre più spesso, commette degli errori che definire epocali è fargli un complimento.
Se dopo alcuni anni di "facce di delusione" la mia compagna comprese che regalarmi vestiti o scarpe non era quello che IO intendevo come regalo da ricevere ed ero ormai tranquillo su quello che mi arrivava in determinate occasioni, lo stesso non posso dire di amici e conoscenti. Sembra che non ci si interessi più ai gusti, agli interessi e alle peculiarità delle persone. Se posso arrivare a scusare una persona che frequento da poco che decida di "farmi un pensierino" e che mi regali un tanga natalizio a forma di renna, con tanto di cornine rosse e dalla forma che poco lasciava all'immaginazione, non posso farlo per amici che frequento da quasi 10 anni e che "dovrebbero" conoscermi MOLTO bene.
Il fatto che sia quasi senza tabù, che non mi faccia problemi a parlare forbito o come uno scaricatore di porto a seconda del contesto, che sia "alla mano", non ti giustifica dal non prendere in considerazione che sono comunque un ultra quarantenne che vive da solo (o convive con la propria donna) dall'età di 18 anni, con le proprie passioni e soprattutto con una certa maturità datami dall'età e dall'esperienza.
Se dopo dieci anni, dopo che ho iniziato te e tuo fratello al fumo della pipa, dopo che a casa vostra mi hai visto fumare pipa e sigari, dopo che hai frequentato casa mia, sai come è arredata, sai come vivo e chi sono, perché come regalo ricevo un nano da giardino (dotto) in resina con un pannellino solare che alimenta una sfera di vetro bianco che si illumina alternando tre colori? Perché dal viaggio di nozze che hai fatto in Messico, mi racconti di aver bevuto ottima tequila, di aver trovato una torcedora in un locale che per pochi dollari ti ha venduto 5 sigari fatti da lei, che ti sei fumato durante il soggiorno e al ritorno come regalo mi porti un grembiule made in china con un sopra grembiule con disegnato un sombrero e scritto viva mexico e il cui sollevamento permetteva l'esposizione di un accessorio che sempre poco spazio lascia all'immaginazione?
Perché si alimenta il commercio di "escrementi" (non è il termine che userei ma le regole di netiquette mi impediscono di lasciarmi andare nello sfogo) che non meriterebbero di essere nemmeno prodotte?
Ho chiesto ad amici e parenti se solitamente creo l'impressione di essere una persona volgare o superficiale, per capire se senza rendermene conto avessi potuto fomentare tali "scelte". Mi è stato risposto e garantito di no.
Chi mi conosce sa quali siano le mie passioni e i miei interessi. Sai che amo cucinare, mangiare bene e provare anche alimenti particolari, non essendo allergico, intollerante a nessun cibo o bevanda e nemmeno schizzinoso. Sai che fumo sigari e pipa. Sai che amo i buoni distillati e il buon vino. Sai che amo leggere. Potrei andare avanti ma solo queste poche cose permetterebbero a chiunque mi conosca da più di tre giorni di capire come farmi felice se si dovesse sentire in obbligo o in piacere di regalarmi qualcosa.
Qualcuno il dubbio se lo deve essere posto, anche se le prime volte che scoprivo che la mia compagna era stata contattata a mia insaputa per sapere "cosa regalare al tuo maschio" mi arrabbiavo parecchio. Possibile che dopo anni, dopo che ne abbiamo PURE PARLATO assieme, non ti viene in mente che:
A: per quanto ovviamente i regali facciano sempre un enorme piacere, non è necessario che tu me li faccia e men che meno che ti senta obbligato/a a farmeli.
B: che piuttosto che spendere 5/10 euro per una cineseria inguardabile e totalmente inutile preferirei mi offrissi un buon calice di vino in osteria/enoteca.
C: che fumo sigari Cubani e Toscani e che con meno di 6 € prendi una confzione da 2 Toscano Originale mi fai stra-contento e che se me ne prendi di più o mi prendi dei Toscani Amazon (tipo Nerone, Arabesque o Italiano) mi fai addirittura felice.
D: che amo certi distillati e sai bene quali perché se mi frequenti vuol dire che in parte hai i miei stessi gusti e sicuramente ti ho parlato dei miei gusti in fatto di cibo, di liquori e vini e di tabacco/sigari.

Forse sono arrivato all'esasperazione al punto da aver avvertito tutte le persone che conosciamo di non farci regali. E' triste, ma la mia insofferenza unita alla mia incapacità di dire e mostrare una espressione di circostanza in presenza di un regalo non gradito, mi fa soffrire di più della persona che si rende conto di quanto non mi sia piaciuto il suo dono.


Sono strano io? Sono cinico e disilluso? Solo sfortunato? Frequento gente di malaffare?
Qualunque sia la mia "colpa", non posso però non vedere la tendenza dei regali asettici e impersonali di cui parlavo in precedenza e non posso non ascoltare le lamentele di alcuni amici che, purtroppo per loro, hanno il mio stesso problema.

Sono solo in questa valle di lacrime? (cit.)

Della riconoscenza ...e perché no, della cortesia.

Non so voi, ma io mi ritrovo sempre più spesso a pensare che in giro ci siano sempre meno persone gentili, cortesi, disponibili. Io cerco di esserlo, nella vita reale come in quella virtuale, tramite blog, siti, forum. Quando mi capita di ricevere gentilezze o cortesie sono sempre prodigo di ringraziamenti, che mi sembrano il minimo, e rifletto su quanto sia piacevole e faccia stare bene subire la cortesia gratuita di uno sconosciuto - come un passante od un commesso o un impiegato in un qualche ufficio - sia da conoscenti che da amici o parenti. Che questi ultimi lo facciano per stima, fiducia, rispetto, cortesia nei confronti di persone conosciute è un bene, poiché non è automatico comunque. Che succeda con degli sconosciuti è ancora più rallegrante, poiché ci tende a dimostrare che non tutti si comportano da cinici egoisti e/o maleducati. In comune queste due categorie di persone gentili hanno il fatto di relazionarsi fisicamente con l'oggetto delle loro cortesie. Per questo quando mi capita di ricevere cortesie, segnali di fiducia e di stima, rispetto ed amicizia, anche solo vedersi dedicare del tempo per fare qualcosa o che so, per rispondere esaurientemente ad una domanda, o per raccontare qualcosa...beh insomma, mantengo una sorta di fiducia nel genere umano.
Per dirla più sinteticamente, se già certi atti o parole sono lì a testimoniare cortesia, disponibilità, e quant'altro, rispondere a tali parole o azioni con un grazie, manifestando di aver compreso ed apprezzato tali parole e tali gesti, mi sembra il minimo sindacale e a me risulta per fortuna ed evidentemente, educazione impartitami, spontaneo.
Per quanto poi buona educazione e cortesia siano "doveri" sociali, in un ambito in cui ancora ci si meraviglia della gentilezza di un impiegato o di un commesso, in realtà dovremmo anche renderci conto che si sono doveri sociali ma che la maggioranza delle cortesie e delle gentilezze non sono "atti dovuti", ma concessioni, fatte con spontaneità magari, ma pur sempre concessioni. Per quello mi meraviglio sempre se a fronte della disponibilità delle persone non c'è di contro la manifestazione di un ringraziamento palese e di una comprensione tale da capire che il tempo è una risorsa preziosa, la più preziosa forse, e che se ce ne viene dedicata una parte, si dovrebbe (ma dovrebbe venire spontaneo, senza rifletterci sopra) esserne grati e la gratitudine condividerla privatamente se l'atto è privato, publicamente (e privatamente) se l'atto nasce pubblico.
Questa riflessione nasce da un problema legato al pc (lungo da spiegare) che ha portato, a momenti vari della giornata, a coinvolgere un amico che alla fine è andato a dormire all'una e mezza stanotte pur di riuscire a risolverlo. Dice che così adesso va a dormire tranquillo per due motivi: perché io son contento di aver risolto e perché lui ha dimostrato a se stesso il detto "un uomo non può sottomettersi ad un computer". A me, essendo nata su un forum la richiesta, è venuto spontaneo ringraziarlo pubblicamente per ciò che ha fatto, per il tempo speso e dedicatomi per risolvere un MIO problema. L'ho ringraziato anche privatamente, ovviamente e mi sono sentito bene. Gli offrirò da bere e da mangiare quando ci rivedremo, siamo due ottime forchette...non avrò problemi ad accontentarlo. Certo sarà una sorta di ricambio di favore, ma sarà anche l'occasione per mangiare e bere in compagnia.

Mi sentivo di esprimere "ad alta voce" questi miei pensieri notturni. Magari qualcuno si ricorderà di non aver detto grazie a qualcuno e domani lo farà...e anche se inconsapevole, potrò far finta che in parte sarà stato merito mio. Lo dico perché mentre scrivevo queste righe e le rileggevo, mi sono ritrovato a pensare se per caso avessi peccato di irriconoscenza, se non avessi detto a qualcuno, grazie, grazie per la stima, grazie per la disponibilità, per il tempo dedicatomi, grazie per il tal favore, per la tal occasione o possibilità che mi hai dato. Non tanto con parenti e amici, quanto con chi ho conosciuto di persona tramite il web o addirittura con quelli che conosco solo virtualmente (purtroppo) ma che meritano i migliori dei miei ringraziamenti proprio in virtù della distanza e della "conoscenza a metà" che mi porta a riflettere che se non è dovuta né scontata la cortesia di chi si conosce personalmente, figuriamoci se può esserla quella di chi si conosce solo virtualmente.

Beh, è sufficiente, rischio altrimenti di confondermi e confondervi ancora di più.
E chi lo sa se qualcuno ha capito cosa ho voluto o avrei voluto dire :)

Saluti

YIWU


Chi siamo, cosa siamo, quanto valiamo. Cosa sono, quanto valgono le cose che ci circondano.

Chi ha scambiato con me anche le sole quattro chiacchiere, conosce quanto sia sensibile al discorso chi fa cosa, come lo fa, dove lo fa e a quanto lo vende. Ho altrove accennato a quella famosa città cinese nata esclusivamente per produrre beni di consumo a basso costo. Dove il solo reparto espositivo degli ombrelli sia grande quanto 4 campi da calcio. Di come là, si produca la quasi totalità di quello che adoperate, comprate, indossate in questo momento.


Di seguito, l'articolo tratto da MondoTech Blog che cita Repubblica come fonte: (in fondo all'articolo la pagina di link)

Lo posto per intero per due ragioni; lo avete bello e pronto da leggere e mi posso permettere di evidenziare in grassetto quelle frasi , parole o paragrafi che ritengo meritino enfasi o maggiore attenzione. OGNI frase di questo articolo è importante per comprendere. Quelle che evidenzio sono, forse, un po' più significative - per me.

YIWU: La città cinese più importante del pianeta per la produzione mondiale di beni a basso costo

YIWU sulle mappe cinesi, o nelle guide, non è segnata come centro da visitare per i turisti di tutto il mondo.
Yiwu però è la città più ricca della Cina, per gli economisti della Banca Mondiale è ormai la più importante del pianeta.
Fino a vent’anni fa era un villaggio tra le risaie e i campi di grano, nel delta dal fiume Yangzi: centomila contadini poveri dello Zhejiang, seminati a sud del lago Tai, che Marco Polo ha descritto come “il paradiso”. Una sola gloria: qui è nato l’uomo che ha tradotto il Manifesto in mandarino.
Oggi conta oltre due milioni di abitanti, immigrati da tutta la nazione e da cento Paesi.

Trentacinquemila stranieri lavorano in tremila imprese internazionali.
Ha un aeroporto di cristallo, quattromila hotel, seicento grattacieli, centodieci banche. Tutto nuovo.
Oggi è il mercato più grande della terra.

Negli ultimi otto anni, dopo che lo Stato ha investito dieci miliardi di euro, sono stati costruiti quattro milioni di metri quadrati di esposizione permanente al coperto.
Entro due anni la superficie supererà i cinque milioni.
Yiwu non è così rimasto il più impressionante esperimento di produzione e di commercio di massa della storia.
È il luogo in cui oggi si fabbrica e si vende il novanta per cento dei beni a basso costo acquistabili nei negozi di tutto il mondo. Ed è, per questo, l’unico dove la crisi non è arrivata.

Ha un giro d’affari ufficiale da quaranta miliardi di euro all’anno, con una crescita costante del quindici per cento. Il segreto dell’”International Trade Mart” è semplice: produrre e vendere al prezzo più basso, in ogni giorno dell’anno e nello stesso posto, tutto. Non è nemmeno più una città degli affari. È un laboratorio perfetto, programmato per trasformare qualsiasi materia prima in denaro. Si fonda sul “consumo globale”.

Consegna seicentomila container di merce all’anno in oltre duecento nazioni e regioni diverse. Il cuore della macchina è il gigantesco mercato.
Ogni venditore ha quattordici metri quadrati di negozio, concessi dal funzionario locale del partito comunista. Affitto statale da cinquantamila euro all’anno: più di uno showroom in centro a Londra. Quattordici metri quadrati, qui, rendono però come venti grandi negozi nelle più ricche metropoli di Usa e Giappone. Attorno a queste preziose “vetrine globali” si distendono i capannoni. Qualche milione di operai, lavorando a ciclo continuo a non più di un’ora dal luogo della vendita, producono all’istante ciò che il grossista chiede.

Oltre gli stabilimenti, sconfinati dormitori, tutti uguali, anonimi e distinti da numeri. A chiudere il cerchio, i terminal per le spedizioni: più in là, binari, autostrade, canali che conducono al Mar Giallo. Qualsiasi articolo interessi, previo anticipo del trenta per cento in contanti, viene consegnato ovunque e in qualunque quantità entro due settimane, senza costi aggiuntivi. Si può vagare per settimane lungo chilometri di corridoi dove è esposto tutto ciò che l’umanità ritiene di poter scambiare e gli umani sono indotti, prima o poi, a desiderare. La sensazione più violenta, assieme alla vista dei beni materiali che assedieranno le nostre vite e riempiranno le nostre case nei prossimi anni, è però un’altra. Risulta evidente il compiuto trasferimento da Occidente a Oriente del baricentro economico del mondo, l’impossibilità di resistere delle strutture commerciali europee, e dei vecchi distretti industriali, concepiti nel secolo concluso.

Perché l’onda commerciale che si alza da Yiwu, e da Canton per i beni di qualità, travolge anche le imprese occidentali più avanzate. Hu Yan Hu, amministratore della città-simbolo del capitalismo interpretato secondo la “via cinese al socialismo”, lo spiega così: “Tenere sempre gli occhi su ciò che succederà dopo, essere sempre pronti a fare un’altra cosa, approfittare sempre delle crisi: e fare sempre tutto per primi”. I commercianti della “China Commodity City”, in questo, sono i migliori al mondo e si vede. In ogni stand ci sono cinque venditori. Uno tratta con i clienti di passaggio. Uno smista gli ordini che arrivano al computer. Uno investe immediatamente i soldi incassati nella Borsa di Shanghai, o di Hong Kong. Uno gira il mercato e le industrie della zona per studiare prodotti e prezzi dei concorrenti. Uno, a turno, mangia o dorme tra la merce.

Gridano e contano muretti di banconote. Allevano bambini nati e cresciuti tra gli scatoloni. Succhiano zuppa disidrata mentre pescano biglietti da visita che tracimano dai secchi, di colore diverso in base ai tempi di solvibilità del cliente. Trasformano gli ordini in sconto, in base alla quantità, con disorientante rapidità. Sorridono sempre e assicurano che “le cose non sono mai andate così bene”. Di ogni prodotto sanno citare, a memoria, il prezzo spuntabile in ogni nazione del pianeta e il margine medio di guadagno potenziale per il dettagliante. Non hanno frequentato università. Si limitano ad applicare poche regole, esibendo il piacere di eseguire un gioco semplice, ma a regola d’arte: “Costare di meno – dice Jin Fang, venditore di certe nuove treccine elettriche colorate da sera – e offrire di più. Avere ciò che nessun altro ha e fare in modo che tutti ne abbiamo bisogno”. Altrove suonerebbe come una formuletta scontata. A Yiwu, “per contribuire al successo della Cina”, l’hanno trasformata nel miracolo economico del nuovo millennio.

Una città per le pentole, una per le parrucche, una per le bilance, una per le conchiglie, una per i palloni, una per i cellulari, una per le matite, una per le cravatte, una per i trapani, una per le collane, una per i coltelli, una per i tavoli, una per il piercing, una per le borsette, una per le opere d’arte, una per i mobili antichi di ogni epoca e così via per 34217 classi di prodotti, dalla vite in titanio per microscopi alla gabbia-stereo per merli indiani. C’è il quartiere che pensa ai matrimoni, quello che vive per i funerali, per i battesimi, per i compleanni, per la laurea, per San Valentino, per Halloween, per Pasqua, o per Capodanno. Il più sconfinato è ovviamente il padiglione di Natale. Da qui sta uscendo il 92% dei regali che il mondo si scambierà in dicembre, il 94% di ciò che viene appeso per addobbare un abete e l’86% delle decorazioni per case, uffici e negozi. Babbo Natale, dalla Lapponia, si è trasferito sotto Shanghai. “E’ semplice – dice Jamal Flaieh, esportatore giordano – tu giri e devi poter trovare tutto ciò che nella vita da qualche parte hai visto, o non hai mai nemmeno immaginato, scoprendo che costa quasi nulla”. La concentrata declinazione materiale della vita sulla terra, dal materassino da Caraibi alla tenda da Himalaya, riserva infatti all’etichetta il colpo di scena finale. Finezze orientali: il valore delle cose è tra 50 e 200 volte, per alcuni beni anche 1000 volte, più basso di quello che ci viene proposto quando decidiamo di fare un acquisto [cominciate a capire quanto vale, ad esempio, l'humidor da 400€ in tabaccheria? E quello da 79€ online? Del perché un conoscente, che in Cina vive e lavora, paventava la possibilità di avere un humidor a 12€? n.d.a. ]. “Tre anni fa – dice Liu Zhuo Ying, direttrice della compagnia statale che gestisce la città-mercato – abbiamo visto un problema: il mondo non ha più abbastanza soldi per pagare la vita che tutti pretendono di fare. La soluzione non è rinunciare a qualcosa, ma poterla avere per meno e volerla piuttosto comprare, in tempi diversi, più volte.
Abbiamo sottratto la cifra mancante alla spesa globale e abbassato il prezzo di ogni cosa del doppio della percentuale. Gli ordini non si sono limitati a ripartire: si sono moltiplicati per quattro”.

Yiwu ha così ridefinito la sfida cinese a non restare solo la fabbrica del pianeta, ma a diventare anche il suo unico negozio: consumi da ricchi a prezzi da poveri. Spiegare come, porterebbe lontano. Ma è una metamorfosi invisibile, che sta ridisegnando la geografia della ricchezza. “America ed Europa – dice il sindaco Lu Xuhang – comprano meno. Sono state rimpiazzate da Cina, India e Medio Oriente. Prodotti diversi: ma il saldo, per noi, è in attivo. Una sola preoccupazione: Vietnam e Cambogia, se non spicchiamo un altro balzo, potrebbero costare ancora meno di noi”.

Li Jundao, venditore di scheletri fosforescenti, semplifica: “Spedivo tutto in due porti di California e Olanda, in inglese. Ora mando verso trentaquattro destinazioni, con etichette in sedici lingue”. I primi due clienti, in città, oggi sono Sudafrica e Brasile. Per Città del Capo sta partendo tuttò ciò che vedremo ai Mondiali di calcio dell’anno prossimo. Da Rio de Janeiro è già arrivata la delegazione che deve trasformare in un affare le Olimpiadi del 2016. Per questo, negli hotel esauriti per l’Expo d’Autunno, si aggirano industriali cinesi, mercanti turchi ed egiziani, stilisti indiani, banchieri di Singapore e pubblicitari giapponesi. Hanno letto l’anima dei nostri sogni standardizzati e plasmano il nuovo profilo del “mondo low cost”, contando al centesimo la migrante capacità globale del consumo. Basta una frase urlata da una branda tra gli zainetti Disney, “questo non va più”, e per un glorioso protagonista dell’apocalittico show dello scambio, è una sentenza di morte.

Attorno a tale inafferrabile ma decisiva entità superiore, che a Yiwu chiamano “la corrente perpetua”, in quest’angolo di Cina che salva e terrorizza, crescono parchi, campi da Golf, ville di lusso. Era un esperimento economico comunista, è diventato il più invidiato modello di vita capitalista: ciò che vedremo dopo esserci accorti che il mondo è già oltre il superato “made in China”. Nel padiglione degli ombrelli, che occupa la superficie di quattro stadi, due imprenditori sedicenni di Guangzhou stanno lanciando quelli riciclabili. Appena smette di piovere, si buttano via: sette centesimi l’uno.



La mia consolazione, quando qualcuno mi farà domande o osservazioni o paragoni che mi metteranno a disagio, non farò altro che far leggere questo blog e non dovrò più spendere parole, fiato, tempo.